Il Dio denaro

Non mi ci abituerò mai.

Non mi abituerò mai al modo che hanno i miei suoceri di giudicare le persone in base a quanto guadagnano, a quanto contano.

Non mi abituerò mai al loro giudicare gli altri in base a quanti euro hanno addosso, tra vestiti e portafoglio, e da questo decidere se siano persone degne della loro considerazione o no.
Non mi abituerò mai a questa loro distorsione della scala dei valori.

Fino a qualche mese fa ero una sfigata praticante avvocato, senza stipendio, senza alcuna visibilità.
Per loro ero Gnappetta, la poveraccia che in sostanza fa la casalinga (dal momento che lavora senza essere pagata, non conta che lavori) e che non le riesce mica poi tanto bene, perché lei, la principessina, è abituata ad allenare la mente sui libri e non le braccia nelle pulizie.
Allora a questa Gnappetta le si poteva dire tutto, ma proprio tutto.
È ingrassata? Glielo si dice in faccia!
Non trova lavoro? Le si dice che è una donna senza ambizioni!
Non ha i soldi per comprare vestiti di marca costosissimi? La si porta nei negozi più costosi della città a fare shopping insieme.

Poi le cose sono cambiate. Per loro.
Ora, secondo loro, non sono più la stessa Gnappetta.
La Gnappetta di adesso è a capo dell’ufficio legale di un’azienda, ha un lavoro prestigioso.
La Gnappetta di adesso ha un bello stipendio (per la cronaca, quando ho comunicato ai miei suoceri di essere stata assunta, la prima cosa che ha fatto mia suocera non è stata congratularsi con me, ma è stata chiedermi: “avete già regolato l’aspetto economico?”, per dire.)
La Gnappetta, per queste ragioni, adesso, secondo loro, va rispettata.

Sì, perché adesso, improvvisamente, secondo loro valgo qualcosa, conto qualcosa.
Se sbaglio non me lo si può più dire, se ingrasso, magicamente sembra addirittura che sia dimagrita, se non vesto capi firmati è perché ho troppo buongusto per seguire beceramente la moda
Adesso Gnappetta ha conquistato l’immunità da ogni critica.

E se questo, da una parte, ha qualcosa di miracoloso (almeno non mi rompono più le balle), dall’altro lato penso che sia mostruoso.

Io sono sempre io, perché prima potevo essere presa a calci in faccia ed ora devo essere venerata?

Vorrei spiegar loro (e forse un giorno lo farò davvero) che per me non è cambiato nulla.
Perché quando mi barcamenavo tra udienze in tribunale non pagate e codici non ero una sfigata, ma una ragazza che cercava di raggiungere un obiettivo.
Che non aver avuto uno stipendio decoroso per tanti anni era lo scotto da pagare e se anche un po’ mi pesava, mi bastava avere l’indispensabile per essere felice.
Adesso, a distanza di qualche mese, non sono cambiata affatto.
L’unica differenza è che ho raggiunto l’obiettivo di realizzarmi in qualcosa che mi piace, ho un lavoro che mi soddisfa, che mi rende orgogliosa di me stessa.

Questa è l’unica differenza.

Perché io sono sempre la stessa Gnappetta.
Quella che corre perché costantemente in ritardo.
Quella che sorride per timidezza.
Quella che alle volte ha paura di ferire gli altri e allora ingoia parole e lacrime.
Quella che altre volte perde le staffe e poi si salvi chi può.
Quella gelosa, quella romantica.
Quella che si fa mille paranoie e poi tira mille sospiri di sollievo.

Vorrei riuscire a trovare le parole per spiegare ai miei suoceri che forse le persone vanno valutate proprio quando non hanno nulla da dare.
Perché è quando non si ha niente da dare eppure si riesce a dare qualcosa agli altri che si dimostra di essere veramente delle belle persone
.
Essere felici e buoni quando si ha tutto è facile, talmente facile che quasi non vale.