Parapluie

I francesi lo chiamano parapluie.
In Italia si chiama ombrello.
È un parapioggia.

E questa è la storia di Parapluie.

Parapluie era piccolo e dispettoso, prepotente e maleducato. Era un ombrellaccio.
Parapluie se ne fregava di tutto e di tutti, si riparava dalla pioggia ignorando gli altri. Poi, di sottecchi, si avvicinava, non per proteggerli, ma per inclinarsi verso di loro e lasciar scrosciare sulle teste di questi poveretti tutta l’acqua raccolta.
Correva veloce per le strade in modo che nessuno avesse il tempo per fermarlo e chiedergli aiuto.
Con acqua e fango schizzava tutti gli ombrelli che incrociava, rideva e scappava via, verso nuove avventure e malefatte.
Se c’era qualche poverello da riparare dalla pioggia, lui si chiudeva imbronciato e lasciava il lavoro sporco agli altri.
Diceva che aveva altro da fare, correva via e si sottraeva ad ogni dovere.
Rideva a crepapelle, per lui ogni giorno era una nuova festa, un giorno di vacanza. Ché di lavorare non se ne parlava proprio.
Parapluie aveva sempre la battuta pronta e lo sbadiglio facile, immune da qualsiasi fatica e portatore sano di fancazzismo.
Parapluie, però, era anche tanto solo, escluso dagli altri perché superficiale e arrogante.
Nessuno lo voleva vicino a sé nel portaombrelli, la sera, perché Parapluie scherniva tutti con battute pungenti e scherzi di cattivo gusto.
Così, piano piano, Parapluie era sempre più isolato e più arido.
Un giorno, poi, Parapluie scoprì di non star bene. Andò dal dottore e questi gli diagnosticò un buchetto incurabile.
Abbattuto e spaventato, Parapluie si aggirava per la città cercando un riparo amico, un sostegno fidato.
Però nessuno si fermava vicino a Parapluie, diffidenti nei suoi confronti ed offesi.
Dopo tanto girovagare, Parapluie trovó riparo sotto un grondaia e lì aspettò chè spiovesse maledicendo il suo destino. Ma si sa, chi semina vento raccoglie tempesta. La pioggia continuó per tutta la notte e solo in quegli ultimi attimi Parapluie si accorse del suo grave errore.
Se non si dà mai nulla di sé agli altri, nulla si può pretendere in cambio.
Questa è la triste storia di Parapluie, il piccolo parapioggia.

Io ho un collega paraculo.

Credo, però, che la morale non sia tanto differente.

I furbi

I furbi sono un po’ ovunque e sono tanti, quindi per la legge dei grandi numeri (?) sono tutt’intorno a noi. Per la legge di Murphy, in particolare, sono tutti intorno a me.
Oggi a lavoro, subissata di cose da fare come sempre, ricevo la mail di un collega con le indicazioni su come fare un lavoro che spetta a lui e non di certo a me, dato che io mi occupo di tutt’altro.
La perla di saggezza scusa più cagosa che ci sia l’ho trovata a fondo della mail “scusa, fallo tu va’ per favore che io ho altro da fare e oggi non ho tempo”.
Chi tace acconsente? Nel mio caso, chi tace (cioè io) ti sta mandando dritto dritto a ‘fanculo. Sallo.

Il disegnino l’ho copiato pari pari dal blog http://mimuovofacciocose.blogspot.it/2012/12/la-mia-incazzatura-ha-rotto-gli-argini.html?m=1

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